Articolo pubblicato su Ius in Itinere in data 20/09/2021.
Con ordinanza n. 25334 del 22/04/2021, depositata in cancelleria in data 1/07/2021, la Corte di Cassazione ha rimesso una importante questione alle Sezioni Unite, concernente l’annosa questione della rilevanza penale della pedopornografia domestica.
La delimitazione del concetto di pornografia domestica è di fondamentale rilevanza, ai fini della ricorrenza, o meno, del reato di pornografia minorile, ex art. 600 ter c.p., sia nella sua condotta più grave (la produzione di materiale pedopornografico, realizzato utilizzando minori), sia nelle successive forme di diffusione o di cessione del predetto materiale, ai sensi dell’art. 600 ter, commi 3 e 4, c.p.
Il limite della penale rilevanza delle condotte di produzione di materiale pornografico minorile, realizzato con il consenso della minore (o addirittura prodotto dalla minore stessa), ovvero della loro successiva diffusione, è oggetto, a tutta evidenza, di un contrasto giurisprudenziale, nonostante l’intervento, vieppiù recente, delle Sezioni Unite sul tema[1].
E proprio la non pacifica delimitazione di ciò che debba considerarsi lecito (o diversamente, di penale rilevanza) in tema di pornografia domestica, ha portato la Cassazione, nell’ordinanza testè citata, ad interrogarsi sui confini dell’art. 600 ter c.p. e, nell’impossibilità di risolvere il caso sottoposto alla sua attenzione, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite.
Il caso: Tizio veniva condannato per il reato previsto e punito dall’art. 600 ter, comma 1, n. 1 e comma 3, per aver prodotto materiale pedopornografico utilizzando minori, realizzando immagini di una minore, con la quale intratteneva una relazione intima, durante il compimento degli atti sessuali; altresì, diffondeva il predetto materiale immettendolo sul social network Facebook.
La Corte d’Appello riteneva, nel condannare l’imputato, irrilevante il consenso della minore alla realizzazione delle immagini, nonché alla loro parziale cessione.
Ricorreva per Cassazione la difesa dell’imputato, contestando, da un lato, la mancanza del presupposto del reato di cui all’art. 600 ter c.p., atteso come nella realizzazione del materiale non vi fosse stata alcuna “utilizzazione” della minore, la quali anzi richiedeva di essere ripresa nel compimento degli atti sessuali che volontariamente poneva in essere.
In via gradata, il difensore chiedeva la derubricazione del reato contestato nella meno grave fattispecie di cessione di materiale pedopornografico, ex art. 600 ter, comma 4, c.p., rilevando che la cessione delle immagini fosse stata esclusivamente bilaterale (nello specifico, da parte dell’imputato all’ex fidanzato della minore, tramite messaggio privato su Facebook); ed in tal caso, dichiararsi l’estinzione del reato per prescrizione.
Gli Ermellini, nell’analisi dei fatti oggetto del ricorso, ritengono imprescindibile prendere le mosse dalla già richiamata pronuncia delle Sezioni Unite sul tema in commento[2].
Nell’analizzare la complessa fattispecie di cui all’art. 600 ter c.p., la Suprema Corte, nel suo massimo consesso, superava il precedente orientamento giurisprudenziale che richiedeva, ai fini dell’integrazione del reato di pornografia minorile, la ricorrenza del concreto pericolo di diffusione del materiale realizzato utilizzando minori, poichè lo sviluppo tecnologico avrebbe ormai reso potenzialmente diffusiva la realizzazione di qualsivoglia file immagine o video.
Tuttavia, il Supremo Collegio poneva l’accento sul rischio che tale interpretazione potesse provocare un eccessivo ampliamento della disposizione in esame, fino a ricomprendervi anche le condotte di “pornografia domestica”. Con tale accezione si intendono tutte quelle condotte di realizzazione di immagini pedopornografiche, le quali coinvolgano minori che abbiano raggiunto l’età per esprimere il consenso agli atti sessuali, sempre che il materiale sia stato prodotto con il consenso degli stessi minori e risulti destinato ad esclusivo uso privato.
In tale contesto, a parere delle Sezioni Unite, l’elemento differenziale è rappresentato dal concetto di “utilizzazione” del minore nella produzione di immagini pornografiche, che sta ad indicare una posizione di supremazia del soggetto produttore del materiale rispetto al minore, il quale diviene mero strumento per il soddisfacimento dei desideri sessuali altrui, ovvero mezzo per conseguire altre utilità.
Soltanto il materiale realizzato “utilizzando minori”, come si evince dal tenore letterale dell’art. 600 ter c.p., e secondo la lettura dianzi richiamata, circoscriverebbe l’area penalmente punibile dell’art. 600 ter c.p. Nel principio di diritto, si fa riferimento, per elidere il concetto di utilizzazione, ad un rapporto paritario e scevro da condizionamenti dell’autore nei confronti della minore, nell’ambito del quale la realizzazione del materiale sia frutto di una libera scelta da parte della vittima minorenne.
Dopo aver correttamente richiamato l’orientamento del supremo collegio, l’ordinanza in commento esprime alcune perplessità a riguardo. Invero, le Sezioni Unite avrebbero legittimato il cd. sexting primario (pur con tutti i limiti in tema di consenso, età del minore e destinazione delle immagini); ma la liceizzazione di un simil concetto sortirebbe l’effetto della coperta di Linus, in quanto lascerebbe un vuoto di tutela per tutte le condotte di diffusione o cessione del predetto materiale (cd. sexting secondario).
L’ordinanza non si sofferma sullo spiegare in che modo il sexting secondario non troverebbe tutela penale; è dunque opportuno richiamare come le condotte di diffusione e cessione del materiale pedopornografico (ex art. 600 ter, commi 3 e 4, c.p.) siano punite fuori dai casi di realizzazione del predetto materiale; e tuttavia, il materiale ceduto deve essere, come previsto dalla norma, “il materiale di cui al primo comma”, rectius il materiale pedopornografico realizzato “utilizzando minori”.
Di talchè, non essendovi utilizzazione nei casi di pornografia domestica, non troverebbero applicazione nemmeno le norme incriminatrici in tema di cessione del medesimo materiale pedopornografico: orientamento che ha trovato conferma in un precedente giurisprudenziale, che ha analizzato la rilevanza penale della cessione di un selfie pedopornografico autoprodotto dalla stessa minore, seppur soffermandosi, più in particolare, sull’alterità soggettiva tra la minorenne che realizzò l’autoscatto ed i protagonisti della cessione di siffatto materiale (si veda, in proposito, Cass. Pen., Sez. III, 18 febbraio 2016 – 21 marzo 2016, n. 11675).
Secondo l’ordinanza, peraltro, nemmeno la neointrodotta fattispecie di cui all’art. 612 ter c.p. (cd. revenge porn) sarebbe in grado di colmare pienamente il vuoto di tutela, poichè non specificamente indirizzato alla tutela della vittima minorenne.
Un recente arresto giurisprudenziale, tuttavia, si è discostato dall’orientamento accolto dal Supremo Consesso, interpretando le fattispecie in modo da colmare il richiamato vuoto di tutela. Si è sostenuto, invero, che anche nell’ipotesi di pedopornografia domestica (anche in questo caso, si trattava di materiale autoprodotto dalla minore) l’eventuale irrilevanza penale del sexting primario non scriminerebbe, a cascata, la successiva diffusione dello stesso materiale, poiché il minore non sarebbe comunque in grado di prestare un valido consenso alla cessione a terzi, estranei ai protagonisti dell’attività sessuale, del materiale prodotto[3].
Il Collegio, ad ogni modo, ritiene che il nocciolo della questione risieda nella liceità, o meno, della produzione di materiale pornografico coinvolgente minori che abbiano raggiunto l’età per prestare il consenso agli atti sessuali.
E su tale aspetto, nonostante le Sezioni Unite abbiano indirettamente recepito la facoltà prevista dall’art. 8, par. 3, direttiva 2011/93/EU (rectius, la possibilità di prevedere l’irrilevanza penale delle condotte di produzione e di possesso di materiale pedopornografico, sulla base degli indici richiamati dalle stesse Sezioni Unite e più sopra elencati), l’ordinanza ricorda come il legislatore nazionale non abbia, invero, esercitato tale facoltà; di talchè, l’interpretazione della fattispecie deve rimanere agganciata al bene giuridico tutelato, ricostruibile anche alla luce degli strumenti giuridici internazionali ed europei.
Ciò detto, gli Ermellini mettono in discussione l’assunto delle Sezioni Unite, che concludeva per la liceità della cd. pornografia domestica, affermando, diversamente, come: “(…) l’offensività dei reati in materia di pedopornografia (…) debba comprendere (…) la criminalizzazione di tutte quelle condotte che, rappresentando la sessualità minorile in immagini pornografiche, esprimano la possibilità del coinvolgimento del minore in attività sessuali, in relazione alle quali o i minori non possono prestare un valido consenso, ovvero non può mai emergere l’evidenza di tale consenso dalla semplice visione delle immagini pedopornografiche (…) di talchè la scelta della comunità internazionale di stabilire il limite dei 18 anni di età, quale confine della illiceità del materiale pornografico risulta, all’evidenza, più che condivisibile e del resto tale scelta è stata (obbligatoriamente) condivisa dal legislatore italiano nel recepire gli strumenti sovranazionali[4]”.
Dall’ordinanza, dunque, si evince dalle prime battute come i Giudici non solo si interroghino sulla correttezza delle coordinate espresse dal supremo collegio, ma altresì mettano in dubbio, già a monte, la liceità della produzione di materiale pedopornografico, anche nei casi involgenti le ipotesi di pornografia domestica.
Così stando le cose, la Corte afferma di non poter risolvere la questione sottopostale senza mettere in discussione quanto recepito dalle Sezioni Unite, le quali, considerando lecita la produzione pedopornografica nell’ambito di un rapporto paritario, non avrebbero altresì affrontato la questione del rapporto tra il minorenne ed un adulto, rapporto che difficilmente si connoterebbe come pienamente paritario tra le due parti.
Il Collegio individua, peraltro, come siano due le questioni da affrontare: da un lato, occorre domandarsi se la minore possa prestare un valido consenso alla riproduzione in immagini o video di atti sessuali per un uso “domestico”; dall’altro lato, qualora la risposta alla prima domanda risultasse positiva, sarebbe necessario verificare se il minore sia in grado di consentire ad una successiva diffusione dei predetti files ai terzi, anche per colmare quelle lacune sulla criminalizzazione della cessione di materiale pedopornografico di cui si è ampiamente detto.
A queste due domande, peraltro, l’ordinanza dà già una prima risposta: i Giudici, infatti, mettono in dubbio che il minore sia in grado di consentire validamente alla riproduzione tecnologica della propria vita sessuale; ed in conseguenza, chiaramente, escludono recisamente che il minorenne possa prestare un valido consenso alla divulgazione dei files ritraenti la propria vita sessuale.
Pertanto, il quesito sottoposto all’attenzione delle Sezioni Unite viene riassunto nei seguenti termini: “Se il reato di cui all’art. 600 ter, comma 1, n. 1, c.p., risulti escluso nell’ipotesi in cui il materiale pedopornografico sia prodotto, ad esclusivo uso privato delle persone coinvolte, con il consenso di persona minore, che abbia compiuto gli anni quattordici, in relazione ad atti sessuali compiuti nel contesto di una relazione affettiva con persona minorenne che abbia la capacità di prestare un valido consenso agli atti sessuali, ovvero con persona maggiorenne[5]”.
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[1] Cass. Pen., Sez. Un., sentenza n. 51815 del 31 Maggio 2018.
[2] Cass. Pen., Sez. Un., cit.
[3] Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 5522, 12 Febbraio 2020.
[4] Cass. Pen., Sez. III, ordinanza n. 25534, 1 Luglio 2021.
[5] Cass. Pen., sez. III, ordinanza cit.