Articolo pubblicato su Ius in Itinere in data 27/10/2020.
1. Le questioni problematiche
Quali sono le conseguenze penali per l’acquirente di modiche quantità di sostanza stupefacente che si rifiuti di fornire agli inquirenti notizie sull’autore dello spaccio?
La questione è stata affrontata e risolta da una importantissima sentenza della Cassazione a Sezioni Unite[1], a partire dalla quale la giurisprudenza successiva non ha fatto riscontrare significativi scostamenti.
In particolare, era duplice la problematica emersa in seno agli Ermellini: da un lato, occorreva comprendere se l’acquirente di piccole quantità di stupefacenti dovesse essere sentito sin dall’inizio come indagato, ovvero come persona informata sui fatti; dall’altro lato, era necessario stabilire se e che tipo di reato fosse integrato con la citata condotta omissiva, nonché, soprattutto, se fosse possibile applicare l’esimente di cui all’art. 384 c.p. all’omessa rivelazione del nome dello spacciatore.
2. I profili processuali
La prima questione veniva così riassunta dalla Corte: “Se l’acquirente di modici quantitativi di sostanza stupefacente debba essere sentito dalla P.G. o dal P.M. nel corso delle indagini, come persona informata sui fatti o come indagato[2]”.
Sul punto, coesistevano in dottrina ed in giurisprudenza due differenti orientamenti.
Secondo una prima lettura interpretativa, il soggetto “sorpreso” ad acquistare o detenere modiche quantità di droga dovrebbe essere sempre sentito come persona sottoposta alle indagini preliminari.
Egli acquisterebbe immediatamente la qualifica di indagato, ed in difetto dei rituali avvisi, le sue dichiarazioni cadrebbero sotto la scure dell’inutilizzabilità di cui all’art. 63, comma secondo, c.p.p., poichè trattasi di soggetto che avrebbe dovuto essere sentito sin dall’inizio come indagato.
Tale orientamento appare maggiormente rispettoso delle garanzie difensive dell’acquirente, in quanto non risulterebbe affatto scontata, in linea generale, la destinazione ad uso personale della sostanza, pur nel modesto quantitativo: di talchè, il medesimo potrebbe avvalersi della facoltà di non rispondere, con ciò andando esente da eventuali responsabilità penali derivanti dall’omessa dichiarazione.
Tuttavia, hanno ritenuto le citate Sezioni Unite di aderire ad un opposto orientamento. In sostanza, l’acquirente di modica quantità di sostanza stupefacente dovrebbe ex se essere sentito come persona informata sui fatti, con l’obbligo di rispondere a tutte le domande secondo verità. Ciò in quanto, secondo la Corte, la modica quantità è indice primario e rivelatore della destinazione ad uso personale dello stupefacente, come tale penalmente irrilevante, ai sensi dell’art. 75 DPR 309/1990.
Qualora non sussistano dei veri e propri indizi, convergenti verso la destinazione ad uso di terzi della droga, l’acquirente assumerebbe immediatamente la veste di persona informata sui fatti, con tutte le conseguenze penali in tema di reticenza o false dichiarazioni.
Tale ultima soluzione non convince in pieno, come si esporrà nelle note conclusive.
3. Profili sostanziali: favoreggiamento personale e non punibilità
La soluzione prospettata dalla Cassazione necessita, dunque, di un’analisi sulla seconda problematica citata al principio dell’articolo.
Partendo dal presupposto che, come visto, l’acquirente è obbligato a rispondere, se il medesimo rifiuta di fornire il nome dello spacciatore alla P.G., commette il delitto di favoreggiamento personale, punito dall’art. 378 c.p.
E’ infatti opinione consolidata in giurisprudenza che, essendo il reato in esame a forma libera, ben può essere integrato da una condotta omissiva, quale il silenzio su legittime richieste della Polizia, qualora consapevolmente si traduca in un aiuto al terzo per sottrarsi agli accertamenti degli inquirenti.
Ciò premesso, occorre tuttavia verificare se l’autore del favoreggiamento possa considerarsi non punibile a cagione dell’esimente prevista dall’art. 384 c.p.
L’art. 384 c.p., infatti, prevede la non punibilità per l’autore di taluni delitti contro l’amministrazione della Giustizia (tra i quali rientra il favoreggiamento personale) qualora commessi al fine di evitare un grave o inevitabile nocumento alla libertà o all’onore, per sé stesso o per un prossimo congiunto.
Controversa è la natura giuridica della norma in esame: a fronte di un orientamento minoritario che la qualifica quale ipotesi speciale di stato di necessità, ex art. 54 c.p., prevale nettamente un’altra visione che la qualifica quale scusante. In questi casi, infatti, l’autore del reato non sarebbe punibile perché sarebbe inesigibile, da parte sua, un comportamento diverso da quello attuato in concreto (rectius, un comportamento lecito).
Le Sezioni Unite, componendo il contrasto insorto sul punto, hanno ritenuto applicabile la scusante di cui all’art. 384 c.p. in capo all’acquirente degli stupefacenti che non riveli il nome dello spacciatore, macchiandosi di favoreggiamento personale: “Al reato in questione si applica l’esimente di cui all’art. 384 c.p., comma 1, ove ricorra la situazione ivi contemplata (necessità di salvarsi da un grave e inevitabile nocumento nella libertà e nell’onore). (…) Siffatto nocumento può derivare anche dall’applicazione di sanzioni amministrative come quelle previste dal DPR 309/1990, art. 75, che comportano l’incapacità temporanea di ottenere autorizzazioni amministrative o la loro sospensione, se già conseguite, incidendo sulla libertà personale e, potenzialmente, sull’onorabilità del soggetto[3]”.
Tale soluzione va accolta con favore: infatti, se l’acquirente rendesse dichiarazioni veritiere, ammettendo l’acquisto ed eventualmente il proprio stato di tossicodipendenza, l’applicazione delle sanzioni amministrative di cui all’art. 75 rappresenterebbe per il medesimo una conseguenza inevitabile. Le sanzioni citate integrerebbero proprio quel grave ed inevitabile nocumento nella libertà e nell’onore, che consentono l’operatività dell’art. 384 c.p., rendendo non punibile la dichiarazione falsa o la reticenza: ciò in quanto l’art. 75 comporta conseguenze di non poco conto in tema di sospensione della patente, porto d’armi, passaporto ed altro: tutte situazioni idonee ad incidere sulla libertà personale e sull’onorabilità dell’autore del favoreggiamento.
Va tuttavia precisato che la Corte non prevede un’applicazione automatica della scusante in esame: è chiaramente necessario che sussistano tutti gli elementi previsti dall’art. 384 c.p., ed in particolare il requisito della gravità del nocumento della libertà e dell’onore, da valutare in concreto ed in relazione alle attività svolte dall’acquirente. Secondo gli Ermellini, deve ritenersi grave il pregiudizio che vada ad incidere in maniera rilevante sul lavoro o sulla vita di relazione del soggetto, ovvero che sia in grado di ledere la personalità dell’autore in relazione all’ambiente in cui vive ed alla considerazione che riscuote nella comunità.
Viene, perciò, affermato il seguente principio di diritto: “(…) è configurabile il delitto di favoreggiamento nel caso in cui l’acquirente di modiche quantità di sostanza stupefacente per uso personale, sentito come persona informata sui fatti si rifiuta di fornire alla P.G. informazioni sulle persone da cui ha ricevuto la droga; in tale ipotesi è applicabile l’esimente di cui all’art. 384 c.p., comma 1, se in concreto le informazioni richieste possono determinare un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore, anche se determinato dall’applicazione delle misure previste dal DPR 9 Ottobre 1990, n.309, art.75[4]”.
In applicazione delle coordinate ermeneutiche sopra riportate, la Cassazione ha successivamente applicato la scriminante di cui all’art. 384 c.p. in un caso in cui l’imputato aveva inghiottito la bustina di droga appena acquistata, dopo essere stato fermato dalle forze dell’ordine. Secondo la Corte, tale condotta rientrava perfettamente nello schema dell’esimente, e non in quello del favoreggiamento, in quanto “prima ancora che a prestare aiuto allo spacciatore di droga, appare dettata (la condotta, ndr) dal precipuo intento di tenersi lontano dall’episodio e di evitare o prevenire (…) il rischio di vedersi applicare le sanzioni amministrative previste dal DPR n.309 del 1990, art. 75[5]”.
4. Conclusioni ed annotazioni critiche
La sentenza esaminata nel presente scritto ha avuto l’indubbio merito di comporre i contrasti giurisprudenziali formatisi in tema di omessa rivelazione del nome dello spacciatore, ipotesi frequentissima nella prassi, atteso l’elevato numero di procedimenti a carico di tossicodipendenti, anche da un punto di vista statistico.
Pregevole appare altresì la soluzione adottata dalla Corte in tema di applicabilità della scusante di cui all’art. 384 c.p., poiché le sanzioni amministrative di cui all’art. 75 del citato DPR 309/1990 comportano conseguenze di estremo rilievo nella vita lavorativa e sociale della persona, con ciò potendo integrarsi quei concetti di gravità del nocumento (e di inevitabilità dello stesso) previsti dall’esimente in parola.
Non altrettanto può dirsi per la linea interpretativa scelta in merito alla prima questione: considerare ex se l’acquirente di modica quantità di sostanza come persona informata sui fatti, e non come indagato (o quantomeno, senza una previa valutazione del caso), appare lesivo delle garanzie difensive concesse dal codice del rito: ed invero, non è sempre scontato che la modica quantità si traduca in utilizzo personale; basta guardare l’elevatissimo numero di procedimenti per droga, che arrivano a dibattimento nonostante le quantità esigue di stupefacente rilevate a carico dell’imputato.
Sembrerebbe esserci dunque, su tale ultimo punto, una distonia tra quanto necessario per sentire un soggetto come indagato (che invero viene considerato come persona informata sui fatti, qualora l’interesse sia rivolto allo spacciatore) e quanto necessario per esercitare l’azione penale (spesso esercitata anche per la detenzione di piccole quantità di droga).
Sul punto, occorrerebbe forse maggiore chiarezza, anche in giurisprudenza, sul discrimine tra uso personale e destinazione a terzi della sostanza, nonché maggior coordinamento su tali concetti tra le Procure, in un’ottica non legata unicamente alle esigenze investigative.
Fonte immagine: Pixabay.com
[1] Cass. Pen., Sez. Un., sentenza n. 21832, 5 Giugno 2007.
[2] Cass. Pen., Sez. Un., cit.
[3] Cass. Pen., Sez. Un., cit.
[4] Cass. Pen., Sez. Un., cit.
[5] Cass. Pen., sentenza n. 41512, 24 Ottobre 2012.